Ogni anno vengono venduti in tutto il mondo quasi 50 milioni di televisori a schermo piatto, 300 milioni di computer e circa 2 miliardi di cellulari (smartphone e di vecchia generazione).
In Europa, ogni anno si producono quasi 15 chili di spazzatura elettronica per ogni abitante. Sono dati delle Nazioni Unite che, nel 2018, proiettano a oltre 50 milioni di tonnellate la quantità di immondizia tecnologica prodotta nel mondo.
Dove finiscono? In posti come la periferia di Accrà, Ghana. Dove migliaia di ragazzi lavorano senza tutele in un ambiente tossico.

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Centinaia di giovani ogni giorno bruciano fili elettrici, computer, televisori e ogni sorta di apparato nella discarica di Agbogbloshie, che nell’ultima decade si è convertito nella discarica di e-waste più grande dell’Africa.
In ogni angolo di questo cimitero elettronico, che copre un’area pari a quella di 11 campi di calcio, si innalzano pile rottami provenienti in gran parte da Europa e Stati Uniti, ammassati ovunque in attesa di essere classificati e poi smembrati per estrarne rame, alluminio, ferro e oro.

Per capire il volume d’affari che si cela dietro questo business, basti pensare che il 10% dell’oro di tutto il mondo si impiega nella fabbricazione di apparati elettronici e che 50 mila cellulari contengono 1 kg d’oro e 10 d’argento.

Tuttavia, per spiegare come l’affare della spazzatura tecnologica sia diventato così lucrativo, bisogna aggiungere un’altra variabile: la manodopera a basso costo disponibile in grande quantità nei paesi in via di sviluppo. 

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Ogni dispositivo tecnologico venduto nella UE include nel prezzo una “tassa di riciclaggio”, ma si calcola che almeno 2/3 dei rifiuti tecnologici non raggiunga mai un impianto di smaltimento omologato, perché è molto più conveniente mandarlo in Africa.

In alcune aree di Agbogbloshie la concentrazione di piombo nel suolo supera del 1000% quella tollerata dagli standard internazionali, mentre l’inquinamento delle falde acquifere del fiume Odaw ha comportato la drastica riduzione della biodiversità della laguna Korle Bu, sulle cui rive sorge la discarica. Inoltre, i lavoratori sono esposti continuamente a sostanze tossiche come il mercurio, i ritardanti di fiamma bromurati o il cadmio. L’accumulo di queste sostanze nel corpo produce a medio e lungo termine malattie invalidanti irreversibili.

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L’analista Horace Dediudi Asymco ha condotto una ricerca sulla durata di vita dei dispositivi Apple.  per il ricercatore americano la durata media dei dispositivi prodotti dall’azienda di Cupertino è di circa 4 anni e tre mesi. La stessa Apple ha confermato questi dati indicando la vita media di Iphone e Ipad a 3 anni, e Mac a 4 anni.

Il problema è che questi prodotti vengono cambiati non per malfunzionamenti dell’hardware,  ma per la lentezza derivante dagli aggiornamenti software, fino a diventare inutilizzabili, senza avere alcuna possibilità di ripararli in un centro Apple, l’unica soluzione per poter continuare ad accedere ad internet senza diventare pazzo diventa quindi quella di cambiare il cellulare, ancora una volta…
A gennaio del 2017 Apple ha rilasciato un comunicato in cui attesta il suo impegno per la difesa dell’ambiente, nonostante questo continua a  mettere sul mercato prodotti con una vita media di meno di 4 anni, che contengono componenti tossici che rimarranno nel nostro pianeta per centinaia di anni.

Se anche tu ami la tecnologia ma la ameresti ancora di più se rispettasse la natura, condividi, e segui la campagna I-waste.

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